Stanisława Leszczyńska era un’ostetrica polacca di Łódź in Polonia, madre di famiglia, arrestata e mandata ad Auschwitz-Birkenau insieme a sua figlia. Nel campo assistette circa tremila donne che partorivano tra infezioni, puzze, parassiti e topi, che mangiavano il corpo di quelle più malate o esauste. Per procurarsi lei stessa l’acqua necessaria per lavare madri e neonati, doveva camminare una ventina di minuti con un secchio. Delle circa tremila nascite a cui assistette non morì nessuna donna né alcun bambino, sebbene ne sopravvissero solo una trentina, perché diverse centinaia furono portati a Nakło per privarli della nazionalità; oltre 1.500 furono annegati da infermiere tedesche; più di 1.000 morirono di fame e di freddo. Nei momenti in cui la violenza scuoteva la sua speranza, cantava. Quando i tedeschi iniziarono a smantellare il campo, Stanisława scelse di rimanere per non lasciare sole le donne che avevano appena partorito e lì visse fino alla liberazione nel gennaio 1945. Era fragile e forte allo stesso tempo – testimonia sua figlia –. Con parole semplici riusciva a stabilire un rapporto con le persone. Dopo la sua morte, una donna raccontò che Stanisława l’aveva aiutata a partorire per due notti e due giorni, facendole le trecce e aiutandola nel dolore.
Per Stanisława la persona è un valore vivo e reale, sulla base del quale è poi costruito tutto il suo sapere professionale di tipo razionale e la sua visione del mondo.Per approfondire:
1. L'ostetrica. Film diretto da Maria Stachurska, nipote di Stanisława Leszczyńska,
presentato del dicembre 2021 all’International Catholic Film Festival Mirabile Dictu.
2. RaiStoria, L'ostetrica di Auschwitz. La donna che si oppose a Mengele
3. Un cuore pensante. Perché l'affettività è la metà perduta della nostra ragione, cap. 4